Gea, l’ultima mucca – intervista al regista Paolo Bonfadini, Collettivo Asterisco

Serravalle Langhe: un paese dove sono scomparse tutte le mucche. Ne resta solo una, si chiama Gea ed è destinata a diventare la mascotte che aiuterà la comunità a ripartire, diventando un brand con il quale conquistare i social. Tutto sembra procedere per il verso giusto, finché… Gea, l’ultima mucca, è il cortometraggio realizzato dalla troupe formata da Paolo Bonfadini, Irene Cotroneo, Davide Morando, alias Collettivo Asterisco, per il PDFF 2020, vincitore del premio del pubblico. 

Paolo, ci racconti il vostro team? 

Con Irene Cotroneo e Davide Morando siamo abituati a lavorare in tre, siamo un nucleo consolidato. Io sono milanese, ho studiato regia, Davide è di Tortona e fa il regista e montatore, Irene ha studiato produzione e fa l’aiuto regia tra Bergamo e Milano. Ci conosciamo da tanto tempo e lavoriamo insieme da un po’: abbiamo deciso di partecipare al PDFF anche per consolidare con un bel progetto la nostra attività che nel 2020, ovviamente, non è stata molto prolifica. 

Prima partecipazione al PDFF! Come è stato? 

Molto bello! Non conoscevamo il Festival e lo abbiamo scoperto per caso, non ricordo chi dei tre. È sembrato subito interessante, abbiamo partecipato con curiosità e non avevamo idea di nulla, anche se avevamo letto il regolamento. Un po’ siamo stati fortunati perché speravamo – forse per una nostra attitudine – di capitare nel comune più piccolo. Così è stato: a Serravalle Langhe ci siamo trovati benissimo sia con la comunità sia per le atmosfere e l’organizzazione del Festival. È stata una permanenza veramente piacevole: avere una settimana per realizzare interamente un corto è una sfida che, se viene presa col giusto entusiasmo, può essere molto divertente! 

Si percepisce anche dal vostro corto: come è nata l’idea per Gea e come l’avete costruita?

È stato un po’ l’imprinting che abbiamo preso dagli elementi trovati lì dopo il primissimo giorno. Ovviamente non conoscevamo i comuni né l’assegnazione prima, ma sapevamo che uno degli scopi del Festival era farsi ispirare dai luoghi. Siamo arrivati senza alcun tipo di idea tranne la sensazione che ci sarebbe piaciuto il comune più piccolo, non so neanche bene perché. È stato un po’ un colpo di fulmine con Edo [N.d.R.: il protagonista del cortometraggio]: è stata la prima persona che abbiamo incontrato e con la quale abbiamo parlato, ci è piaciuto subito perché aveva un’energia pazzesca, un po’ simile alla nostra nonostante la differenza di età. Ci siamo rivisti un sacco nella sua energia

E la storia della mucca? 

È nata perché il primo elemento che abbiamo incontrato sono state le cascine lì intorno, anche se non era un elemento particolarmente caratterizzante del comune. È stata però la prima cosa che abbiamo visto, per cui ci siamo detti ok, Instagram è pieno di pagine di animali famosi e non si sa neanche bene perché, forse perché sono carini e divertenti? L’idea è stata così che il paese cercasse di far diventare famosa la mucca Gea su Instagram, ma che poi questa operazione sfuggisse di mano. È stato un mix di sensazioni che abbiamo avuto, l’idea ci è piaciuta e siamo andati dritti in quella direzione lì. 

Come è stato il rapporto con la piccola comunità di Serravalle Langhe? Erano più divertiti o straniti? 

Erano più divertiti inizialmente che andando avanti. Edo ci aveva detto che, essendo in pensione, aveva molto tempo libero. Ma in realtà sono stati tutti disponibili, anche se qualcuno era più restio a farsi intervistare c’era molta curiosità. Ci hanno assecondati, poi con i giorni c’è stata qualche perplessità sulla storia, non era ben chiaro dove volevamo andare a parare e così ci sono state un paio di persone che ci hanno generato dei dubbi. L’allevamento non rappresentava molto Serravalle Langhe, abbiamo avuto il dubbio di aver fatto una storia che parlasse poco del luogo. Alla fine però questa storia è vera, è un elemento che, se non è il principale, ha tuttavia permesso agli abitanti di rivedersi molto. Così ci hanno detto: si sono affezionati ed è stato bello. 

Qualcosa è arrivato, infatti avete vinto il premio del pubblico…

Ovviamente la nostra paura era che non piacesse al pubblico e agli altri, ma quanto è partito e ci siamo accorti che qualche risata la strappava, ci siamo resi conto che funzionava. 

Veniamo ai bilanci: cosa vi siete portati a casa dopo il PDFF? 

Ci siamo portati a casa un’esperienza molto bella: eravamo tappati in casa da mesi e a Milano non è stato particolarmente divertente o facile da sopportare. Quella del PDFF è stata una settimana di libertà: nonostante qualche difficoltà in cui però siamo stati liberi di muoverci, c’è stato l’incontro con persone alle quali alla fine ci siamo affezionati. Siamo tornati a casa con un corto che ci piace tutt’ora, perché il nostro scopo era proprio quello: anche se avevamo solo cinque giorni volevamo fare qualcosa che ci rappresentasse e piacesse. Ci siamo riusciti, e siamo contenti. 

Il corto ha avuto la possibilità di girare? 

Gea l’ultima mucca è piaciuto al pubblico ma ha girato poco, abbiamo avuto un contratto di distribuzione con ShortsFit Distribución, partner del Festival, e quindi un po’ si sta muovendo. È approdato al Buenos Aires International Festival of Independent Cinema – BAFICI e siamo in attesa di novità che dovrebbero arrivare. 

Se dovessi consigliare a un regista che non conosce il PDFF di partecipare, come lo convinceresti? 

È sfidante: credo che se nella vita si vuole fare il regista, non bisogna assolutamente tirarsi indietro rispetto a niente. Riuscire a fare qualcosa che poi sia convincente in 5 giorni è una sfida che fa stare meglio con te stesso e le tue capacità. È importante, oltre che divertente. Ti aiuta anche a fare team building con gli altri perché c’è talmente poco tempo che… tutto è efficace!

Ci vuoi raccontare qualche ostacolo o episodio bizzarro? 

Abbiamo palate di materiale con gli errori fatti da noi! Avendo costruito la storia con così poco tempo, venivano fuori incongruenze nelle interviste di cui non ci rendevamo conto perché la storia è nata così, in divenire. A questa difficoltà, il secondo giorno si è aggiunta la mancanza di parti della storia, per cui ci siamo detti no, abbiamo sbagliato tutto. In realtà grazie a Davide che stava sveglio la notte per montare siamo riusciti a risolvere. Alla fine del corto, poi, abbiamo usato un quadro per fare i titoli di coda e nell’ultima inquadratura abbiamo inserito una figurina. È un corto pieno di effetti visivi: abbiamo modificato un sacco di cose. Ci hanno poi raccontato – ed è la cosa più divertente – che tornando a casa i proprietari del quadro si sono messi a discutere perché uno non si ricordava se dentro ci fosse la nostra mucca, e l’altro era convinto di no. La mattina dopo sono tornati a controllare! 

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