“Il semina sogni” – Murazzano – Intervista a Juan Carlos Cid Esposito

Quando ci si mette di mezzo il falso documentario, a volte i sogni diventano realtà. Sembra che sia successo questo a Murazzano, dove il Collettivo Condorito ha dato vita a “Il semina sogni”, una favola sul benessere di una comunità e una piccola utopia immaginata attraverso l’ispirazione di un libro. E se è vero che meno per meno fa più…a volte al Pdff sembra che vero più vero facciano falso. Sarà proprio così? Per capire meglio di che storia stiamo parlando, abbiamo fatto quattro chiacchiere con la troupe vincitrice del premio del pubblico. Il Collettivo Condorito è composto da Dario Bonelli, Frediano Cignolini e Juan Carlos CID Esposito, che ha risposto alle nostre domande.

Da dove nasce il Collettivo Condorito e che esperienze ha alle spalle? 

“Condorito arriva da un’unione avvenuta al Condorito,  per 10 anni un circolo culturale dove si faceva musica e dove ho conosciuto Danilo e Frediano, ai quali ho proposto di partecipare a questa edizione del Festival. Per me era la terza, avevo già partecipato con altri gruppi, ma è sempre una bella occasione per giocare con la creatività. E così è nato il Collettivo: ad hoc per il Pdff. Frediano lavora con fotografia e video, Danilo fa montaggio, io da sempre coltivo questa passione e dunque eccoci”

Siete finiti a Murazzano, dove avete dato vita a un cortometraggio che racconta una sorta di borgo ideale, un borgo dei sogni che ha un’ispirazione fantastica, ma nasce da qualcosa di vero. Come è arrivata questa idea? 

“Una domenica mi sono detto: eureka! Perché ho la fortuna di conoscere Silvano Agosti [N.d.R. regista, sceneggiatore, ma anche filosofo e scrittore] e mi sono detto «per rendere credibile un falso prendiamo un personaggio vero come Silvano che mi dice che ha saputo che a Murazzano si sono ispirati al suo romanzo». Ne è uscita una vicenda talmente credibile che il falso poi è stato difficile da individuare, per quanto la storia sia sognante e tratta da un romanzo. E così tra l’altro è stato, perché poi ci è scappato di mano”

Il video in effetti ha girato sul web e ha ricevuto un sacco di visualizzazioni…

“Sì, da qui è nato anche un po’ un caso: non immaginavo una cosa del genere, addirittura con telefonate al comune di Murazzano per un documentario falso. Si è generato un fenomeno tale per cui il falso è diventato vero, o per lo meno molto credibile. Abbiamo scritto a chiare lettere che era un lavoro frutto di fantasia ma nonostante quello si diceva “hai visto cosa succede a Murazzano? Hai saputo?”

Potere del mockumentary! Ma in tutto questo Silvano Agosti come ha reagito?

“Beh io lo avevo chiamato dicendogli se aveva voglia di giocare a questa a questa cosa, lui ha detto che andava bene e mi ha invitato per l’intervista. Ecco, non ero proprio due passi da Roma nelle date a ridosso del Festival, così ho chiamato un’amica che gli ha fatto un’intervista sul libro che è al centro del documentario, “Lettere dalla Kirghisia”, e un audio dove lui dice che ha saputo che a Murazzano si sono ispirati al suo romanzo. Lui ha 84 anni, è molto lucido a parte il fatto che mi chiamava spesso e mi diceva «ma senti, mi han detto che quella storia di Murazzano non è vera!». E io gli ripetevo che si trattava di un mockumentary, come un romanzo! Del resto lui scrive proprio che basta saper immaginare un’isola perché quest’isola inizi a esistere: il corto voleva essere anche un omaggio a Silvano e alla sua opera, e se anche solo qualcuna delle tante persone che lo hanno visto hanno scoperto i libri di Silvano, l’intento è stato raggiunto”. 

Tutto parte proprio dalle “Lettere dalla Kirghisia”, romanzo di Agosti che racconta una sorta di utopia. Come si è intrecciata la storia con Murazzano?

“Abbiamo voluto inventare una storia non tanto legata a un prodotto tipico o puramente turistico: nel libro di Agosti si parla dell’utopia della società a misura d’uomo. Murazzano è un luogo dove si vive bene e, ci siamo detti, quest’idea potrebbe essere realizzabile. Per esempio, io conoscevo la comunità che sta nascendo a Murazzano, dove opera Chiara, una delle protagoniste che si occupa per davvero delle nascite. Ecco perché le nostre interviste sono vere”.

Forse è proprio la mescolanza di vero e falso a rendere particolare “Il seminasogni”

“Beh sì, per esempio la proposta che facciamo nel corto di affidare una casa ai diciottenni potrebbe essere realizzabile, non è del tutto fuori dal possibile”.

Quel tanto che lascia dell’ambiguità, che è poi la parte stuzzicante del mockumentary: lo spettatore si domanda se lo stanno prendendo in giro o no. Eppure forse qualcosa di vero c’è, e quella è la parte sfidante. A tal proposito: come ha preso il vostro lavoro la gente del posto?

“Ci sono state situazioni in cui la gente ha creduto che il nostro sindaco fosse quello vero, e cose del genere!”

E la logistica? Ci sono state delle ansie dell’ultimo momento? 

“Fortunatamente la storia c’era tutta, l’avevo da tanto in testa, e i girati sono andati buoni alla prima, ma qualche problema tecnico c’è stato, come un programma da reinstallare e quindi il montaggio da finire la notte… Cose così dell’ultima ora, ma quando ho montato e ho rivisto il finale mi sono commosso!”

E poi avete portato a casa il premio del pubblico

“Una cosa curiosa è che a nessuno di quelli che abbiamo intervistato avevamo raccontato come sarebbe stata la storia, abbiamo detto a tutti cosa dovevano dire o fare, e per molti erano cose che già facevano normalmente, oppure ponevamo domande come «cos’è per te l’amore», «cos’è per te la libertà», tanto poi è con il montaggio che si fa il miracolo. Penso che per molti sia tata una sorpresa a vedere la storia”

Potere del cinema! Nei titoli di coda si parla di questo lavoro come di una reciproca fonte di crescita e insegnamento. “Il semina sogni” ha lasciato qualcosa? 

“Sicuramente sì. Due parole vanno spese per il Festival, perché da quando esiste io lo trovo una grande possibilità creativa. Rispetto alle scorse edizioni, quest’anno ho notato anche uno spessore sui contenuti, perché va bene ridere, la formula per strappare un sorriso la si trova, però non c’era mai nessuno che dicesse cose grosse. Ho sempre avvertito come una grande possibilità di espressione, l’opportunità creativa di generare una storia e presentarla come vera avendo un paese a disposizione e sono felice di essere riuscito a fare quest’anno qualcosa che mi soddisfa, una piccola pillola da cui trarre un’idea, un qualcosa. Al di là del Festival, sto lavorando sul mockumentary perché mi sembra una grande opportunità. La nostra esperienza ci dimostra che il pubblico c’è e secondo me è un modo straordinario per dire cose e lanciare l’immaginazione più in là. È bello poter dire belle balle in un mondo in cui credi in qualcosa che poi si scopre non essere. È una formula che mi piace molto: la differenza tra vero e falso è davvero un campo di sperimentazione interessante da plasmare e manipolare con la creatività, ed è stimolante anche per lo spettatore che si pone delle domande. Ma per chi lo crea lo è ancora di più!”

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