
In vino veritas, intervista a Yalmar Destefanis, Thedocumentaristi
In vino veritas, nel vino è la verità. Oppure no? La domanda sorge spontanea dopo la visione del mockumentary che si è aggiudicato il premio della giuria al PDFF 2019, In vino veritas, per l’appunto, realizzato dal team Thedocumentaristi, ovvero Giacomo Piumatti, Ornella Lo Surdo e Yalmar Destefanis. Un documentario bugiardo su un ipotetico spostamento di confine della DOC Barolo, il vero tesoro di Monforte d’Alba.
Yalmar, chi sono i Thedocumentaristi?
Mi faccio portavoce per tutti e tre: il nome è ovviamente ispirato alla band Thegiornalisti ed è un’idea di Giacomo Piumatti, videomaker e documentarista di Bra che lavora nel mondo del cinema indipendente. Poi c’è Ornella Lo Surdo, che si occupa di tecnologia visiva: io e lei ci siamo conosciuti alla scuola di cinema di Ostana, di Fredo Valla, con Giacomo invece ci siamo conosciuti alla Scuola di Alto Perfezionamento Musicale di Saluzzo, che ha un corso di cinema.
Come vi è venuta l’idea di giocare sulla denominazione del Barolo per In vino veritas?
C’è stata una fase in cui ci hanno detto “ok, siete a Monforte e dovete fare un documentario”. Avevamo zero idee e abbiamo passato due giorni solo a pensare a cosa raccontare. Effettivamente abbiamo iniziato a filmare al terzo giorno ed eravamo un po’ nel panico perché c’era pochissimo tempo. Io ho contribuito all’aspetto visivo, non alla scrittura che invece era degli altri due come la produzione, riprese e montaggio li abbiamo fatti insieme, soprattutto di notte.
L’idea è arrivata come un fulmine a ciel sereno o piano piano?
Ci siamo arrivati passo passo, ma al contempo avevamo ben chiaro che volevamo qualcosa che avrebbe messo in ginocchio i produttori di vino, portandoli a immedesimarsi nella situazione. Il Barolo porta benessere e privilegio, è una gallina dalle uova d’oro: ci siamo chiesti quale fosse la cosa a cui a Monforte d’Alba tenevano di più e, al tempo stesso, un elemento per il quale la gente sarebbe riuscita a metterci del personale senza recitare. Automaticamente abbiamo pensato al Barolo: qualcosa di fondamentale per loro, legato alla sopravvivenza. Non avevamo alternative: dovevamo parlare del vino. Questo ci ha portato a pensare a questioni legate alla burocrazia. Il primo personaggio che compare ci ha fatto scattare la scintilla: siamo andati da lui e ci ha spiegato che il suo terreno per pochi metri non può essere definito terreno del Barolo. Era tutta una questione di confine, questa cosa ci ha fatto riflettere.
In effetti è un elemento molto realistico, aiuta il meccanismo del mockumentary
Esatto, è proprio così!
Vi aspettavate il premio della giuria dopo il lavoro faticoso, o è stata una sorpresa?
È stata una sorpresa totale! Abbiamo consegnato il corto in fretta e furia senza curarlo nei dettagli, ci aspettavamo i fischi! Siamo rimasti molto stupiti della vittoria. Ha certamente contribuito anche la musica iniziale di mio fratello, Barolo, è piaciuta e tutti ne erano entusiasti, manteneva vivo il racconto in video.
Dopo questa vittoria il corto ha girato un po’?
È stato proiettato al Castello del Valentino di Torino grazie al PDFF e al Cinema Ambrosio, adesso sarà proiettato al BAFICI, uno dei più importanti festival del Sud America, il Buenos Aires International Festival of Independent Cinema.
Dalle Langhe oltre oceano!
Sì, e poi a molti a cui l’ho fatto vedere senza spiegare che era un mockumentary sembrava vero!
Com’è stato il rapporto con la comunità di Monforte?
Sono stati molto tutti disponibili, soprattutto il sindaco e il vicesindaco. Il sindaco era pieno di impegni, aveva anche un evento da mandare avanti, il vicesindaco ci ha aiutati a trovare persone da intervistare. E poi tutti i produttori sono stati gentili e disponibili, per il tempo e la volontà che ci hanno dedicato.
Che reazioni avevano, ridevano o si prestavano al gioco?
All’inizio non capivano il perché, ma poi iniziavano a immedesimarsi pensando che se mai succedesse una cosa così sarebbe una catastrofe.
Gli avete messo ansia?!
Ma no, hanno fatto tutto da soli!
Ci sono state particolari difficoltà durante la realizzazione di In vino veritas?
La consegna del video su tutte. Dovevamo consegnare a una tale ora in cima alla chiesetta, noi abbiamo mandato l’export del video nel momento in cui avremmo dovuto consegnarlo, quindi siamo partiti di corsa col computer che stava esportando verso la chiesa. Abbiamo un video di questa cosa che abbiamo caricato sui social! Poi alla fine eravamo i primi, forse ci siamo fatti un po’ troppi problemi! Un altro momento critico è stato quello della riunione dove, nel corto, compare tutto il paese. È stato forse il momento più complicato del video e quello a cui abbiamo lavorato di più: c’erano tante persone da gestire e noi eravamo solo tre, e poi dovevano improvvisare tutto il tempo, non gli abbiamo detto nulla. Incredibile come siano entrati nel ruolo automaticamente.
Cosa vi siete portati a casa dal PDFF?
Quel che mi ha lasciato il Festival sono stati gli abitanti: la gentilezza, la cordialità e disponibilità. Ci hanno fatto bere tanto vino! Tutti quanti hanno fatto molto più di quanto avrebbero potuto e ci hanno mostrato un lato del Piemonte diverso dallo stereotipo delle persone chiuse e riservate.
Consiglieresti a un giovane creativo di partecipare al Festival?
Sì, perché è importante mettersi alla prova con i tempi stretti: capisci tutto quando hai solo una settimana di tempo e devi fare un prodotto dalla a alla zeta. Emerge proprio la tua capacità, se sei in grado o meno di farlo. Ovviamente soli è complicato e in gruppo è più facile, ma al tempo stesso in gruppo è difficile coordinarsi. E poi è utile anche per mettersi alla prova sotto il profilo delle capacità narrative.